lunedì 29 dicembre 2008

Francesco De Vincentiis

clicca qui per il Sito Ufficiale

Francesco De Vincentiis, nato a Chieti il 1 ottobre 1874, rimasto orfano di madre in tenera età fu allevato dal padre, Domenico. Fin dalle classi delle elementari mostrò una predisposizione ad una facilità di disegno veramente notevole.

A diciannove anni, ottenuta una borsa di studio dall'amministrazione provinciale, si recò a Napoli a studiare pittura presso l'accademia di Belle arti sotto la scuola del suo grande comproviciale Filippo Palizzi, che lo ebbe fra gli allievi più cari.
Nel 1889, prendeva parte al concorso internazionale di Torino, fra pittori e scultori, per una testa di Cristo. Enorme fu l'eco suscitata per l'assegno dei premi.
Il De Vincentiis, che era uno dei più giovani concorrenti, fra i quali si trovavano nomi di artisti affermati come quelli di Pietro Canonica, Leonardo Bistolfi, Francesco Jerace otteneva un bel successo. Infatti, nel numero 60 della rivista Empurium, Enrico Thovez in un suo articolo critico così diceva: "Una mensione a parte merita il De Vincentiis, il quale pretese rappresentare Cristo e Giuda in due figure di beoni ma dipinte con una forza e una solidità veramente eccezionali, ben illuminate e gustosissime nel loro forte realismo".
Nel 1906, da Lucera, in provincia di Foggia, dove si era trasferito insieme al padre, emigrò a Londra, dove ben presto seppe acquistarsi una meritata reputazione. Fra i lavori più importanti colà eseguiti, molti dei quali esposti alla Royal Accademy, è degno di particolare considerazione il ritratto di Lord Burman che ebbe grande successo nel campo artistico per il rilievo e la vita infusa dall'autorevole personaggio.
Dopo circa otto anni di permanenza nella capitale inglese, il De Vincentiis passò a Parigi e anche qui svolze una notevolissima attività tanto che in breve tempo si fece largo fra gli artisti stranieri, conosciuto ed ammirato in mostre personali e nelle esposizioni periodiche del Petit Palais. E' di questo periodo il ritratto del defunto asso dell'aviazione francese Guilmer, ordinatogli dalla casa d'arte Dubois di Parigi per conto del Ministero della Guerra.
Nel 1917, Francesco De Vincentiis tornò in patria per indossare il grigio verde;
a guerra finita stabilì la sua dimora a Chieti richiamatovi da nostalgica passione per il natio abruzzo. Nel 1920-22 fu chiamato dal Comm. Mezzanotte ad insegnare disegno nella scuola industriale di Chieti.
Nel 1923 troviamo il De Vincentiis insegnare disegno a Torino ma il richiamo della sua terra è troppo forte e si stabilì definitiamente a Chieti.
L'opera artistica di questo periodo, infatti, è quasi tutta ispirata alle bellezze della sua terra. Le sue tele, nella loro semplicità, sono quanto mai suggestive, piene di colore, di luminosità e di vita e di esse traspare qualunque sia il soggetto, quel segno di tristezza e passioneche conquisano l'animo e rendono la più soave verità l'ambiente abruzzese. I suoi termini di vecchie cucine abruzzesi, i suoi focolari semi spenti nella oscurità della penombra ricordano i grandi fiamminghi; nei particolari poi, è di una evidenza che raramente si riscontra nei pittori più noti e più forti. Le sue nature morte hanno poi veramente la gran vita dei quadri d'arte dei fiamminghi e dei napoletani del '600 ma con un senso di truttura galliarda che al De Vincentiis derivò dallo studio della pittura di Filippo Palizzi e da una solida visione della realtà, delle cose sensibili e naturali.
Il De Vincentiis è stato un interprete acuto e analitico delle nature morte, diremm quasi insuperabile per la vivezza del colore e la distribuzione e l'equilibrio dei valori. I due ultimi più importanti valori dell'artista sono un quadro di grandi dimensioni (m6x3) il cui soggetto è tratto dal vecchio testamentop: "Esther e Asshuer", nel quale l'autore conferma le sue qualità di luminoso colorista, tanto che la tela può competere con le composizioni di Giacinto Diana che adornano la catterale di Lanciano ove la tela è stata collocata. L'opera, che è stata eseguita in circa 20 giorni, in una sala del Teatro Maruccino di Chieti a ragione della grandezza del dipinto, ricalca il bozzetto di un analogo quadro andato disrutto nell'incendio del 1933 nella cattedrale di Lanciano. Il De Vincentiis ha svolto una sua libera interpretazione del tema offerto dal bozzetto con un esecuzione forte e sicura, con un audace cromatismo e con un evidente verismo nel vigore delle figure che si stagliano nette e robuste sull'aereo paesaggio. La tecnica ricca di risorse, la tavolozza esperta, il disegno libero e disinvolto, oltre all'accuratezza di tutta l'opera fanno giudicare che una nuova e degna opera d'arte è andata ad arricchire la cattedrale di Lanciano. L'altra tela è la "Madonna del Rosario" per la monumentale chiesa di San Bernardino di L'Aquila, ispirata secondo il desiderio dei committenti ad un quadro di Francesco De Mura esistente in una chiesa della Calabria. Il De Vincentiis vi ha messo di suo la forte tavolozza e ne ha fatto un lavoro del tutto degno dei grandi maestri del 600.
Del'ultimo periodo di attività dell'artista ricordiamo alcune delle opere più significative: "L'autoritratto" da cui si sprigiona una vitalità, una potenza persuasiva che inchioda (del dipinto l'artista ha eseguito due copie); il ritratto "Mio figlio" palpitante di forza spirituale e di effetto paterno che commuove.
Opere queste, che da vicino ci fanno ricordare i quadri del Van Dyck e del Rubens.
Rimarchevole è unao studio per un quadro, "le bagnanti", che il De Vincentiis non fece o che non volle fare ma che assurge alla stessa importanza. E ancora, "Un bambino con cipolle" luminoso e pieno di spirito; una "Giovane al bagno" suggestiva, ben intonata, piena di senso d erità e pudicità.
L'otto marzo 1938 l'artista decedeva.
Nel darne annuncio il "Giornale d'italia" dell' undici marzo, con un articolo initolato "Artisti d' Abruzzo che scompaiono" così precisava : "Dopo breve malattia è morto Francesco De Vincentiis, il più forte pittore abruzzese contemporaneo; eppure pochi lo conoscevano non solo in italia ma anche nel natio Abruzzo, perchè il De Vincentiis trascorse all'estero tutta la sua giovinezza: a Londra e a Parigi ove la sua arte è ancor oggi fortemente apprezzata". L'articolo inoltre puntualizzava: "Francesco De Vincentiis, dal dopo-guerra ad oggi, è rimasto in un ambiente troppo ristretto per la sua arte. La sua concezione artisica, la sua perfetta visione del colore avevano bisogno di ambienti molto più vasti per dargli qualla rinomanza che giustamente meritava."
Sorvolando sopra il suo stato civile le sue opere ci portano d'un balzo a tre secoli indietro, e cioè in pieno seicento.
Evidentemente De Vincentiis era un pittore ben nutrito di esperienza acquisita attraverso il lavoro costante e il tormento dello studio.
E come dall' articolo de "il Messaggero" datata 4 luglio 1938: "Chieti è orgogliosa di questo artista che considera come il prodotto più genuino e più nuovo della sua sensibilità, che è coloristica e musicale insieme, della sua antica tradizione di arte e della sua cultura.
E' certamente non a caso che oggi può porre Francesco De Vincentiis accanto Francesco Paolo Michetti, che si educò nella grandi atrie dei suoi colli, a Nicola De Laurentis e al lontano Antonio Solario detto "lo zingaro" che fu il fondatore della scuola pittorica napoletana".

L' ultimo Napoletano

Nell' ambito di quella stagione della pittura napoletana che vide protagonista, fra gli altri numerosi abruzzesi, da Smargiassi a Patini, a Michetti e ai fratelli Palizzi, Francesco De Vincentiis va probabilmente considerato come l' ultimo protagonista.
La produzione artistica interessa un periodo che va dall' ultimo scorcio dell' 800 alle soglie del secondo conflitto mondiale. Si forma alla scuola Realista di Filippo Palizzi e giunge per inclinazione ed esperienza ad uno stile pittorico personalissimo che rappresenta per alcuni versi il proseguimento di quel naturalismo en plein air" che fu della scuola del Posilipo prima e di Filippo Palizzi poi.
Se nelle penombre dello studio nascono ritratti e nature morte ricche di forti cromatismi e di contrasti colorostici, è fuori, nelle giornate impregnate di dole, di luci, di cieli nervosi di nubi, che nascono i suoi caratteristici paesaggi.
Grazie ad una infinità irripetibile di tocchi sovrapposti ad una tavolozza ricchissima egli spazia in una pittura riconducibile al Realismo, al Paesaggismo inglese, al Divisionismo e all' Impressionismo.
Colori, stili e tecniche assaporate, diremmo vissute, ed intensamente rivisitate. Così con Francesco De Vincetiis, senza per questo tralasciare epigoni e discepoli, si chiude una parte importante della stagione pittorica napoletana Realista.

Vedere per Credere


Walter De Vincentiis




Francesco De Vincentiis : Una Vita per l' Arte

Se è vero che la pittura è mezzo di comunicazione immediato, se le sensazioni che proiamo dinanzi ad un quadro sono capaci di rapirci, di accendere il nostro immaginario, di farci guardare la realtà con occhi di artisti che attraverso il propio sentire ci trasmettono emozioni che restano tra i nostri ricordi, allora la mostra retrospettiva su Francesco De Vincentiis ci rende un po più ricchi, più carichi di sentimenti, di passioni gioiose o tormentate, sempre vitali, immediate e coinvolgenti, All'improvviso si è catapultati in una dimensione diversa.E' la forza dell' Arte.
Al di sopra degli schemi, delle ideologie,degli stili è come se il tempo si fosse fermato. Alcuni quadri , soprattutto ritratti e nature morte, sicuramente degni dei grani maestri dell'600 fiamingo e spagnolo, fanno da contraltare e paesaggi la cui spazialità ricorda le grandi arie dei quadri inglesi, fiamminghi e le vedute francese dell'800. E' la grande pittura. Quella che non ha bisogno di essere spiegata più di tanto.
Oggi che un "iper-", un "post-", un "pre-", insomma un etichetta di collocazione pittorica non si nega a nessuno, questa mostra vuole riproporre un artista di grande spessore, che seppure indicato dalle cronahe dell'epoca come "l'ultimo napoletano", benche gli fosse riconpsciuto un ruolo importante nel panorama dei coloristi italiani di fine '800 era stato un po consapevolmente dimenticato.
Realista, naturalista, purista, ma soprattutto formatosi alla scuola di Filippo Palizzi fu sicuramente capace di assimilare "... una soolida visione delle cose sensibili e naturali ..." (F.Verlengia), ma, attraverso il proprio sentire e le proprie esperienze (Inghilterra e Francia per circa un ventennio) seppe approdare ad una visione pittorica personalissima.
Nelle sue opere sentimenti ed emozioni trasudano dai pori delle tele con pennellate di rara intensità cromatica e chiaroscurale. Se il colore domina la scena, quantunque nel rispetto dell'ortodossia del Realismo Napoletano, il disegno, o meglio il segno, non è mai una gabbia, una limitazione. E' un tramite. La realtà diviene un mezzo per trasmettere, per sprigionare una sonorità cromatica, un colorismo materico che ha pochi pari tra gli artisti più noti.
"Il più forte pittore abruzzese contemporaneo", così lo indicava il " Giornale d' Italia" l'undici marzo 1938, a pochi giorni della sua morte. "Gloria e vanto al natio Abruzzo".
Se il tempo non gli ha dato quanto meritava, la lezione di pittura lasciata attraverso le opere va approfondita e riconosciuta.
Nato a chieti nell' ottobre del 1874 da Domenico e Maria Ranalli, figlio unico, mostrò sin da fanciullo una predisposzione veramente notevole per il disegno. A diciannove anni, ottenuta una borsa di studio dall'amministrazione provinciale, approdò a Napoli alla scuola di Filippo Palizzi, suo comprovinciale che lo ebbe tra gli allievi più cari. (Va Francì, và ... non ho più niente da impararti ...). A torino fu tra i vincitori del Cocorso Internazionale di pittura del 1899 e successivamente, negli anni enti, vi tornò come insegnante. Ma soprattutto fu a Londra prima e a Parigi poi che ebe modo di arricchire e realizzare le proprie convinzioni artistiche. Traspare evidete di tutta la sua opera un isolamento alle tematiche politiche ed ideologiche che lo circondavano. E' la pittura che si richiamaaVan Dyck, a Velasquez; agli impressionisti, ai Coloristi Napoletani come Antonio Mancini che lo interessano. Nei tratti pittorici senza ripensamenti, senza velatura e compromessi il colore ha una sua identità, un posto preciso dove collocarsi nell'equilibrio dei valori dell'opera. Ogni pennellata ha un suo senso, una sua peculiarità. Nnte di superfluo, seppure in una riproposizione analitica della realtà Tutto ci è finalizzato al cromatismo, a dare luce e vita al quadro. E' così che la natura, i personaggi, il quotidiano da cui attinge diventano mezzi di espressione cromatica.Se rientrare in Italia al momento della disfatta di Caporetto per indossare la divisa, fu una necessità per chi si era formato alla scuola del pensiero liberale europeo, ebbe a vivere in seguito in ambienti che non lo coinvolsero e che sicuramente gli stavano stretti. Poche amicizie certe, ad ampio raggio: da Raffaele Paolucci all' Onorevle Cristini, da Giuseppe Gentile a Giuseppe Mezzanotte, da Domenico Speziali a Filippo De Cecco. Di carattere poco accomodante, non accettava imposizioni; all' allore Prefetto Bottai che voleva fargli apputi sui quadri disse di andare a fare le sue marcette lontano dal suo studio e di non imporunarlo. Malmenò il sovraintendente Ripandelli perchè interferiva con il suo lavoro. Non accettava compromessi. Fu il ritrattista della buona borghesia romana, per la quale però non si muoveva da chieti. Quando Cristini gli propose il ritratto del Duce, lui rispose che il suo studio stava a Chieti. E' non eseguì il lavoro. Diremmo quasi che Francesco De Vincentiis testimoniò con coerenza, sino alla fine, le sue convinzioni pittoriche e spirituali. Visse di arte, di colori, di cromatismi, volutamente lontano dalla retorica, dalle avanguardie e da una notorietà che non lo interessava.
Gli ultimi anni furoni periodi duri, segnati in famiglia da una serie di avversità. La moglie, Emme Contel nativa di Dunquerque e parigina d'adozione, rimase semi paralizzata qualche tempo dopo, dopo aver dato alla luce il terzo figlio Emilio. Dovette lasciare l'insegnamento del francese al liceo. Dopo qualche tempo e dissapore anch'egli lasciò l'insegnamento al regio Istututo Tecnico "Luigi Savoia", dove era stato ripetutamente chiamato dal Com. Mezzanotte. Sosteneva la famiglia, la moglie e i tre figli Iolanda, Domenico ed Emilio, con i proventi dei quadri, richiesti soprattutto all'estero dove il suo nome era più noto che in italia, con le lezioni private impartite ai giovani delle famiglie benestanti della città. La De Carlo ed Elide Migliori-Camplone divennero pittrici abbastanza note.
Nel 1933 il figlio Emilio, 6 anni appena compiuti fu vittima di un grave incidente; finì investito dal tram e gli furono amputate ambedue le gambe. Un vero strazio. Il pittore ebbe la forza di ritrarlo in un quadro che rappresenta una sorta di testamento artistico e spirituale. La vista si abbassava negli ultimi anni, 1936-38, non era più in grado di dipingere; Dovette necessariamente abbandonare l'idea di lasciare ai figli un cospiquo numero di quadri e fu costretto a rinunciare alle commissioni propostegli. Morì l'otto marzo del 1938, aveva 63 anni.
La sua città vuole oggi ricordarlo, riscoprirne l'opera in una mostra che sinteticamente lo ripropone in un itinerario artistico che, dai lavori giovanili, accademici, ma già espressivi e vigorosi, presenta opere mature di grande fascino e alcuni capolavori certi.
Walted De Vincentiis pittore-restauratore
in Chieti
walterdevincentiis@gmail.com