lunedì 29 dicembre 2008

Francesco De Vincentiis : Una Vita per l' Arte

Se è vero che la pittura è mezzo di comunicazione immediato, se le sensazioni che proiamo dinanzi ad un quadro sono capaci di rapirci, di accendere il nostro immaginario, di farci guardare la realtà con occhi di artisti che attraverso il propio sentire ci trasmettono emozioni che restano tra i nostri ricordi, allora la mostra retrospettiva su Francesco De Vincentiis ci rende un po più ricchi, più carichi di sentimenti, di passioni gioiose o tormentate, sempre vitali, immediate e coinvolgenti, All'improvviso si è catapultati in una dimensione diversa.E' la forza dell' Arte.
Al di sopra degli schemi, delle ideologie,degli stili è come se il tempo si fosse fermato. Alcuni quadri , soprattutto ritratti e nature morte, sicuramente degni dei grani maestri dell'600 fiamingo e spagnolo, fanno da contraltare e paesaggi la cui spazialità ricorda le grandi arie dei quadri inglesi, fiamminghi e le vedute francese dell'800. E' la grande pittura. Quella che non ha bisogno di essere spiegata più di tanto.
Oggi che un "iper-", un "post-", un "pre-", insomma un etichetta di collocazione pittorica non si nega a nessuno, questa mostra vuole riproporre un artista di grande spessore, che seppure indicato dalle cronahe dell'epoca come "l'ultimo napoletano", benche gli fosse riconpsciuto un ruolo importante nel panorama dei coloristi italiani di fine '800 era stato un po consapevolmente dimenticato.
Realista, naturalista, purista, ma soprattutto formatosi alla scuola di Filippo Palizzi fu sicuramente capace di assimilare "... una soolida visione delle cose sensibili e naturali ..." (F.Verlengia), ma, attraverso il proprio sentire e le proprie esperienze (Inghilterra e Francia per circa un ventennio) seppe approdare ad una visione pittorica personalissima.
Nelle sue opere sentimenti ed emozioni trasudano dai pori delle tele con pennellate di rara intensità cromatica e chiaroscurale. Se il colore domina la scena, quantunque nel rispetto dell'ortodossia del Realismo Napoletano, il disegno, o meglio il segno, non è mai una gabbia, una limitazione. E' un tramite. La realtà diviene un mezzo per trasmettere, per sprigionare una sonorità cromatica, un colorismo materico che ha pochi pari tra gli artisti più noti.
"Il più forte pittore abruzzese contemporaneo", così lo indicava il " Giornale d' Italia" l'undici marzo 1938, a pochi giorni della sua morte. "Gloria e vanto al natio Abruzzo".
Se il tempo non gli ha dato quanto meritava, la lezione di pittura lasciata attraverso le opere va approfondita e riconosciuta.
Nato a chieti nell' ottobre del 1874 da Domenico e Maria Ranalli, figlio unico, mostrò sin da fanciullo una predisposzione veramente notevole per il disegno. A diciannove anni, ottenuta una borsa di studio dall'amministrazione provinciale, approdò a Napoli alla scuola di Filippo Palizzi, suo comprovinciale che lo ebbe tra gli allievi più cari. (Va Francì, và ... non ho più niente da impararti ...). A torino fu tra i vincitori del Cocorso Internazionale di pittura del 1899 e successivamente, negli anni enti, vi tornò come insegnante. Ma soprattutto fu a Londra prima e a Parigi poi che ebe modo di arricchire e realizzare le proprie convinzioni artistiche. Traspare evidete di tutta la sua opera un isolamento alle tematiche politiche ed ideologiche che lo circondavano. E' la pittura che si richiamaaVan Dyck, a Velasquez; agli impressionisti, ai Coloristi Napoletani come Antonio Mancini che lo interessano. Nei tratti pittorici senza ripensamenti, senza velatura e compromessi il colore ha una sua identità, un posto preciso dove collocarsi nell'equilibrio dei valori dell'opera. Ogni pennellata ha un suo senso, una sua peculiarità. Nnte di superfluo, seppure in una riproposizione analitica della realtà Tutto ci è finalizzato al cromatismo, a dare luce e vita al quadro. E' così che la natura, i personaggi, il quotidiano da cui attinge diventano mezzi di espressione cromatica.Se rientrare in Italia al momento della disfatta di Caporetto per indossare la divisa, fu una necessità per chi si era formato alla scuola del pensiero liberale europeo, ebbe a vivere in seguito in ambienti che non lo coinvolsero e che sicuramente gli stavano stretti. Poche amicizie certe, ad ampio raggio: da Raffaele Paolucci all' Onorevle Cristini, da Giuseppe Gentile a Giuseppe Mezzanotte, da Domenico Speziali a Filippo De Cecco. Di carattere poco accomodante, non accettava imposizioni; all' allore Prefetto Bottai che voleva fargli apputi sui quadri disse di andare a fare le sue marcette lontano dal suo studio e di non imporunarlo. Malmenò il sovraintendente Ripandelli perchè interferiva con il suo lavoro. Non accettava compromessi. Fu il ritrattista della buona borghesia romana, per la quale però non si muoveva da chieti. Quando Cristini gli propose il ritratto del Duce, lui rispose che il suo studio stava a Chieti. E' non eseguì il lavoro. Diremmo quasi che Francesco De Vincentiis testimoniò con coerenza, sino alla fine, le sue convinzioni pittoriche e spirituali. Visse di arte, di colori, di cromatismi, volutamente lontano dalla retorica, dalle avanguardie e da una notorietà che non lo interessava.
Gli ultimi anni furoni periodi duri, segnati in famiglia da una serie di avversità. La moglie, Emme Contel nativa di Dunquerque e parigina d'adozione, rimase semi paralizzata qualche tempo dopo, dopo aver dato alla luce il terzo figlio Emilio. Dovette lasciare l'insegnamento del francese al liceo. Dopo qualche tempo e dissapore anch'egli lasciò l'insegnamento al regio Istututo Tecnico "Luigi Savoia", dove era stato ripetutamente chiamato dal Com. Mezzanotte. Sosteneva la famiglia, la moglie e i tre figli Iolanda, Domenico ed Emilio, con i proventi dei quadri, richiesti soprattutto all'estero dove il suo nome era più noto che in italia, con le lezioni private impartite ai giovani delle famiglie benestanti della città. La De Carlo ed Elide Migliori-Camplone divennero pittrici abbastanza note.
Nel 1933 il figlio Emilio, 6 anni appena compiuti fu vittima di un grave incidente; finì investito dal tram e gli furono amputate ambedue le gambe. Un vero strazio. Il pittore ebbe la forza di ritrarlo in un quadro che rappresenta una sorta di testamento artistico e spirituale. La vista si abbassava negli ultimi anni, 1936-38, non era più in grado di dipingere; Dovette necessariamente abbandonare l'idea di lasciare ai figli un cospiquo numero di quadri e fu costretto a rinunciare alle commissioni propostegli. Morì l'otto marzo del 1938, aveva 63 anni.
La sua città vuole oggi ricordarlo, riscoprirne l'opera in una mostra che sinteticamente lo ripropone in un itinerario artistico che, dai lavori giovanili, accademici, ma già espressivi e vigorosi, presenta opere mature di grande fascino e alcuni capolavori certi.
Walted De Vincentiis pittore-restauratore
in Chieti
walterdevincentiis@gmail.com

Nessun commento:

Posta un commento